Con la Sentenza della Corte Costituzionale n. 20/2019, la Consulta ha risolto l'annosa questione che ha visto la dirigenza pubblica opporsi agli obblighi di pubblicazione online del proprio stato patrimoniale e reddituale, imposti sei anni fa dal primo dei decreti attuativi della legge Severino, come modificato dal D.lgs. n. 97/2016 (articolo 14 decreto legislativo 33/2013).
La Corte Costituzionale, nell'operazione di bilanciamento compiuta tra le opposte esigenze di trasparenza dell'azione amministrativa e riservatezza dei dati personali, ha ritenuto che l'onere di pubblicazione in questione sia sproporzionato rispetto alla finalità principale perseguita, quella di contrasto alla corruzione nell'ambito della pubblica amministrazione.
Nel caso in esame, alla compressione del diritto alla protezione dei dati personali non corrisponde, secondo quanto si legge in sentenza, un paragonabile incremento né della tutela del contrapposto diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, né dell’interesse pubblico alla prevenzione e alla repressione dei fenomeni di corruzione.
Il primo effetto della sentenza, quindi, è il ritorno sui siti di tutte le pubbliche amministrazione delle tabelle con gli stipendi dei loro dirigenti, insieme ai rimborsi delle spese di missione; in particolare, dovranno essere pubblicati tutti i dati e le informazioni di cui alle lettere da a) a e) del D.lgs. n. 33/2013, oltre all'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti a carico della finanza pubblica (comma 1 ter), con esclusione, dunque, dei dati di cui alla lettera f) (dichiarazioni patrimoniali e reddituali), i quali resteranno un obbligo solo per pochi soggetti, che occupano i vertici amministrativi dei ministeri.
Si tratta di quelli nominati con decreto del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio dei Ministri, per i ruoli di segretario generale o di dirigente di "strutture complesse", come elencati ai commi 3 e 4 dell'articolo 19 del Testo unico del pubblico impiego (D.lgs. n. 165/2001).